Mondi intrusivi

I mondi intrusivi sono quelli che abitiamo nell’epoca del mondo interconnesso e di un general intellect sciamante che permette compiacentemente di farsi scrutare e controllare con il proprio gioioso consenso.

Se l’attuale sistema socio-economico è in grado di generare innumerevoli effetti dispercettivi è perché esso dispone di caratteristiche intrinsecamente introiettive e totalitarie tali da garantire, senza colpo ferire, l’autogestione del sistema lasciandola a carico di coloro che ne usufruiscono o, se vogliamo, lo subiscono. La partecipazione attiva dell’utente alla sopravvivenza e alla stabilità del sistema panoptico-digitale in cui vive è il sofisticatissimo punto di arrivo finale di un lungo itinerario ideologico che abbiamo provato a tracciare fin qui.

Il meccanismo dell’autosfruttamento compiacente sul quale si fonda l’attuale sistema sociale è l’oggetto dell’ultimo lavoro del filosofo Byung-Chul Han, Psicopolitica, nel quale descrive con molta lucidità alcune coordinate del neoliberismo.

“Il neoliberismo è un sistema molto efficace, anche intelligente, di sfruttamento della libertà. Si sfrutta tutto ciò che appartiene a pratiche e forme di libertà, come l’emozione, il gioco e la comunicazione”.

“Il capitalismo attuale è determinato da forme intangibili e immateriali di produzione. Non si producono oggetti fisici, ma o oggetti non-fisici come le informazioni e i programmi […]. Per aumentare la produttività non si superano resistenze corporee, ma vengono ottimizzati i processi psicologici e mentali. La disciplina corporale cede all’ottimizzazione mentale”

A partire da queste caratteristiche, oggi assistiamo ad un vero e proprio salto di qualità determinato dal perfezionamento ingegneristico dell’uso di masse enormi di dati (digitali e non) sul comportamento (consumistico, politico, sociale, etc.) della popolazione mondiale interconnessa, i cosiddetti Big Data, attraverso cui il mondo del marketing ha affinato esponenzialmente le proprie armi. Attraverso lo sviluppo di nuove e più precise tecnologie e l’incrocio sempre più selettivo di variabili, oggi assistiamo al raffinamento delle tecniche di push marketing (spinta/imposizione) verso il consumatore. Il mondo-mente-mercato è ormai un dispositivo compenetrato sufficientemente in profondità da consentire tramite gli algoritmi e i modelli matematici di controllare, prevedere e programmare le nostre scelte di consumo, politiche e non solo.

“È una conoscenza di dominio per intervenire nella psiche e condizionarla ad un livello pre-riflettente”. Con i Big Data il  “futuro diventa prevedibile e controllabile”

Più prevedibilità e domesticazione in un mondo che utilizza il piacere e le emozioni come surrogato della libertà reale. Chi sa mettere assieme scienze cognitive, marketing, neuropolitica e neuroeconomia, matematica, analisi del web, sapendo al contempo costruire modelli previsionali possiede un inusitato potere, mai posseduto prima da alcun uomo.

“Acxiom sa di più sui cittadini degli Stati Uniti che l’FBI. In questa azienda, gli individui sono raggruppati in 70 categorie. Disponibili in catalogo come la merce”

Forse non è un’informazione molto diffusa, ma il web non è propriamente gratuito. Ogni utente che accede alla rete attraverso i più comuni canali, diffonde i propri dati che hanno un valore persino stimabile in alcune decine di dollari l’anno e che confluiscono nella massa dei Big Data. Ma questi dati non sono “confessioni estorte con la tortura”. Piuttosto, dice Han, “si verifica una spoliazione volontaria. Il Grande Fratello ha un aspetto amichevole. L’efficienza della sorveglianza risiede nella sua bontà”.

Il tempo sul web ad esempio tende a diventare maggioritario rispetto a tutto il resto. Così anche l’attenzione è assorbita lì prevalentemente.

Internazionale, 23 Marzo 2015 “Come Facebook e Google guadagnano soldi con il nostro tempo

Ogni utente svolge perciò volontariamente e compiacentemente il proprio auto-monitoraggio:

“Master e slave sono la stessa persona. Anche la lotta di classe diventa una lotta interna con se stessi”

e partecipa in tal modo, nella maniera più compiuta, alla costruzione di sé stesso come imprenditore (come profetizzato dall’ideologia neoliberista ) che aderisce ad una coscienza collettiva costruita con le trame di una “emozionalizzazione” favorita dall’accelerazione della comunicazione.

“L’accelerazione della comunicazione favorisce la sua emozionalizzazione, dal momento che la razionalità è più lenta dell’emotività. La razionalità è, in un certo senso, senza velocità. Per questo l’impulso acceleratore conduce alla dittatura dell’emozione”. E mentre “gli oggetti non possono essere consumati all’infinito, le emozioni invece sì. Le emozioni sono dispiegate al di là del valore d’uso. Quindi si apre un nuovo campo di consumo con caratteristiche infinite”.

Han infine coglie proprio questo punto a mio parere importante, anzi centrale, e cioè il fatto che la leva su cui tutto questo apparato globale fa gioco è quella del sistema delle emozioni.

Esse sono regolate dal sistema limbico, che è anche la sede di impulsi. Esse sono un livello pre-riflettente, semicosciente, l’azione corporea istintiva, di cui è a conoscenza in modo esplicito. La psicopolítica neoliberista usa le emozioni per influenzare le azioni su questo livello pre-riflettente

Questa ultima osservazione sul sistema limbico e lo sgambetto alle nostre emozioni ci traghetta immediatamente in un altro tema direttamente collegato con questo dei Big Data appena trattato, per il tramite del significante “intrusione”, ed il tema della neuroeconomia. Vediamo di cosa si tratta.

È da un po’ tempo ormai che vado pensando che economia e psicologia stiano ormai convergendo verso un‘unica scienza, se non altro perché alcune aree di punta di entrambe le discipline si occupano non a caso più o meno delle stesse tematiche. Se vuoi capire come funziona il comportamento economico e i suoi processi decisionali, ben al di là delle teorie economiche classiche, chiedi pure ad alcuni psicologi; e se vuoi capire la cifra esistenziale del soggetto contemporaneo e le sue più profonde determinazioni motivazionali, chiedi pure ad alcuni economisti.

“La Neuroeconomia è un neonato settore della ricerca neuroscientifica di spiccato carattere interdisciplinare, volto a costruire un modello biologico dei processi decisionali.

Essa si situa al crocevia tra discipline alquanto differenti per scopi, metodi, prospettive d’indagine, tra le quali, in particolare, l’economia cognitiva e sperimentale, le neuroscienze, la microeconomia, la psicologia, l’epistemologia e la filosofia della mente filosofia, ciascuna delle quali fornisce uno specifico contributo allo studio della decisione umana […]

Integrando contributi e metodi da tutte queste discipline, è oggi possibile “osservare” l’attività neurale in tempo reale, “guardando dentro il cervello”, per esaminare quali regioni cerebrali sono maggiormente coinvolte nella presa di decisione, e come il loro funzionamento è influenzato dalle opzioni disponibili, dal contesto nel quale esse sono presentate, dai fattori emotivi, dalle interazioni con altri individui. […]

Come negli altri settori delle neuroscienze, l’esplorazione può procedere su diversi livelli di analisi, dallo studio dell’attività di singoli neuroni nella scimmia all’indagine su sistemi cerebrali complessi nell’uomo per mezzo delle metodiche di neuroimmagine, come tomografia a emissione di positroni (PET), risonanza magnetica funzionale (fMRI) e registrazione di potenziali evocati”.

(fonte: Matteo Motterlini, http://www.cresa.eu/neuroeconomia.html)

Possiamo dunque osservare con i nostri stessi occhi, ad esempio, che le aree cerebrali che si “accendono” quando proviamo disgusto-paura e quando stiamo rischiando di perdere i nostri soldi siano proprio le stesse, insula e amigdala, e questo pare che offuschi significativamente la possibilità di decidere opportunamente e per il meglio. Allo stesso modo, quando stiamo euforicamente puntando una cifra per un investimento e quando assumiamo cocaina o giochiamo d’azzardo, sono proprio le stesse aree del cervello, in area limbica (nucleo accumbes), che si attivano, quelle relative alla ricompensa. Ed anche in questo caso i nostri processi decisionali ne verrebbero fortemente compromessi per via dell’anestesia delle emozioni antagoniste (con la differenza che il giocatore “ottimista” risulterebbe pulito al test antidroga, egli non ha bisogno della cocaina: è già sotto effetto).

Trovo straordinariamente suggestivo oltreché istruttivo riscontrare che le aree cerebrali che s’attivano in coincidenza delle più comuni e diffuse afflizioni psicologiche contemporanee siano le stesse che risuonano, che vibrano, pizzicate dalle dita invisibili delle angosce sorde che producono una gamma emotiva negativa che va dall’indignazione al sentimento di impotenza di chi si ritrova all’angolo, passando dal disgusto e paura; o viceversa delle fantasie grandiose e narcisistiche di ricchezza e potenza di chi rischia i suoi soldi sulla roulette della finanza. Trovo questo una magnifica dimostrazione, una magnifica chiusura del cerchio che rimanda ad un’insostenibilità dei cardini teorici sui quali si basano i nostri stili di vita più comuni.

Naturalmente non è in discussione la legittimità psico-biologica di ognuna di queste emozioni, piuttosto il punto sul quale occorre soffermarsi è che l’inflazione di ognuna di queste emozioni e lo squilibrio complessivo che tale predominanza procura al sistema cognitivo sia causa di fatto di una sua vulnerabilità che lo rende esposto ad errori sistematici e prevedibili e perciò a manipolazioni automatiche. In tutto ciò, infatti, le aree più evolute, quelle prefrontali, quelle del discernimento raziocinante, non sempre sono implicate e spesso sembrano abbastanza periferiche se non del tutto escluse. Dice infatti Motterlini: “i soggetti più razionali  – cioè che non subiscono l’effetto incorniciamento ( l’effetto scoperto dallo psicologo premio nobel Kanheman, che dimostra l’incidenza emotiva della cornice, del contesto decisionale, ndr) – presentano una maggiore attivazione della corteccia orbitofrontale destra”. Tutti gli altri, cioè la stragrande maggioranza, seguono il gregge.

Tutto ciò interroga sull’attuale stadio evolutivo della nostra specie, la sua difficoltà ad abitare un mondo resosi forse troppo complesso e per certi versi troppo manipolatorio, e dimostra, dal mio punto di vista, che manca (o entra troppo facilmente in crisi) la possibilità della nostra mente in determinate condizioni ambientali – mi riferisco agli stili di vita contemporanei – di poter funzionare in maniera “integrata” e funzionale.

Certo, ora abbiamo un’area di ricerca nonché un’applicazione trasversale che ci aiuterà a capire meglio come decidiamo, per imparare a non cadere nei soliti errori, per difenderci dalle trappole mentali, per marcare un confine tra la nostra soggettualità (il nostro libero arbitrio) ed i tentativi sempre maggiori del mondo che ci circonda di fagocitarci coi suoi meccanismi di omologazione. Grazie a queste scoperte saremo tutti più liberi e consapevoli, abbiamo finalmente l’antidoto al veleno, smaschereremo grazie agli strumenti di una scienza empirica “hard” quanto i nostri stili di vita ispirati da teologie turbo-capitalistiche ci stiano conducendo all’abdicazione di noi stessi riducendoci a soggetti sperimentali, a topini affannati nelle ruota del mondo-mercato. Topini un po’ angosciati e disgustati, un po’ eccitati, in proporzione tanto quanto necessaria a far girare il mondo in una certa direzione anziché in un’altra.

Ma stanno proprio così le cose? È sempre vero che l’ampliamento della conoscenza apporti sempre maggiore consapevolezza e “coscienza”? È sempre vero che la scoperta dell’antidoto riduca la diffusione e la perniciosità del veleno? Oppure anche questa storia dell’andamento progressivo delle conoscenze è una vuota ed indimostrata credenza?

Oppure, più banalmente, è essenziale capire in quali mani va a finire questo antidoto?

Per rispondere a questa ultima domanda, sembrerebbe che al momento queste area di ricerca per quanto estremamente interdisciplinare interessi prevalentemente docenti universitari e laboratori di ricerca, istituzioni e singoli soggetti del campo formativo economico e soprattutto riguardino il mondo degli investitori, dei trader, il mondo della finanza e degli affari.

Nessuno cioè che fino ad oggi abbia avuto il minimo interesse a trarre da queste ricerche le pur minime conseguenze politiche. Almeno fino ad oggi.

Tratto da: Luigi D’Elia  Alienazioni Compiacenti, star bene fa male alla società, 2015

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