Il tempo con i figli

È di questi giorni una notizia che ha particolarmente colpito la mia attenzione, la storia di Mohamed El-Erian, guru degli investimenti finanziari, il quale decide di dimettersi a seguito di una lettera della figlia di 11 anni che in ben 22 punti, e per iscritto, gli ricorda tutte le occasioni mancate di presenza e condivisione nella sua vita. Qui potete trovare la sua diretta testimonianza (e qui riportato dal Corriere della Sera).

El-Erian racconta di aver deciso di ridurre il proprio impegno e di lavorare part-time per poter passare del tempo con la figlia. Aggiunge di sentirsi molto felice per questa decisione, ma anche molto fortunato perché pensa di essere un privilegiato per essere riuscito a strutturare il proprio tempo in modo da dedicarsi alla famiglia.

Ma la vera notizia, dal mio punto di vista, è che una storia del genere sia diventata una notizia. Ciò che dovrebbe essere l’esperienza più comune del mondo è diventata nel nostro stile di vita qualcosa di epico, che comporta rinunce eroiche, ristrutturazioni, revisioni valoriali radicali.

Per quale motivo siamo giunti a tale sovvertimento degli scopi personali e sociali tanto da dichiararci fortunati perché riusciamo a trovare il tempo di fare colazione con nostra figlia e di portarla a scuola?

Ricordo, a proposito di insostenibilità di stili di vita, un caso precursore di alcuni anni fa, di una arrembante dirigente di una azienda telefonica giunta suo malgrado in uno studio di psicoterapia prima portando la sua figlia maggiore adolescente, piuttosto stordita e provata da una vita solitaria nonché conflittuale con sua madre, e poi provando a portare se stessa e il suo inconciliabile stile di vita rispetto ad una parvenza di vita famigliare. La giovane signora aveva avuto la prima figlia dall’ex marito dal quale non sapeva perché si era separata (questo è quanto riferiva) e poi un secondo figlio di un anno da un giovane compagno che viveva in una città del nord il quale le proponeva, nei rari momenti di vacanza, costosi viaggi dai quali erano esclusi i figli. Di fatto la signora, totalmente rapita dalla sua carriera e da relazioni a distanza, non incontrava quasi mai i suoi figli se non nei ritagli di tempo serali, spesso connotati da nervosismo e stanchezza, e nonostante ciò era l’unica e solitaria loro responsabile, responsabilità condivisa con incostanti e problematiche baby sitter.  Una famiglia costruita su bisogni tanto legittimi quanto falsati e falsificanti.

Di fronte alla palese evidenza dell’insostenibilità della propria vita (testimoniata dal malessere-allarme della figlia adolescente), la signora, pur immaginando cambiamenti e correttivi durante il breve lavoro con me, non fu in grado in nessun modo di reimpostare alcunché le permettesse di avvicinarsi ai propri figli pur dichiarando questo lo scopo principale della sua vita. La sensazione forte ricevuta fu quella di un vero e proprio sequestro del tempo e degli obiettivi di vita ad opera di esigenze sociali che hanno però un carattere anonimo e impersonale.

Ricordo questo vecchio caso soprattutto come uno dei miei drop-out (la signora lasciò presto il mio studio) che però mi insegnò tantissimo per quanto riguarda tutte le situazioni simili incontrare successivamente.

Vivere con i figli è diventato ormai più una fatica che un piacere. La figlia di El-Erian ha dovuto prendere carta e penna e comunicare con suo padre utilizzando i suoi codici (un report con 22 punti!), ma quanti bambini e ragazzi hanno la possibilità/capacità/lucidità di raccontare il proprio disagio? E quanti genitori hanno la possibilità di ascoltare e soprattutto di raccogliere concretamente questo messaggio in bottiglia? Più spesso è la rassegnazione che vince e più spesso si è abituati a pensare, come El-Erian, che la ri-organizzazione del proprio tempo lavorativo sia una specie di lusso destinato a pochi eletti come lui. Il mantra contemporaneo dice che per ritagliarsi tempo da passare con i figli o devi essere disoccupato o super-ricco; se sei invece qualcuno che lavora, il tuo tempo non ti appartiene e non appartiene alla tua famiglia e in generale alle tue relazioni.

Ma questo, per fortuna, è vero fino a prova contraria. Prova contraria che ho imparato ad osservare in molte situazioni cliniche (naturalmente successive a quella signora con la famiglia sparpagliata di cui ho detto sopra). L’importante è, dal versante terapeutico, imparare a individuare il problema del tempo e il piacere degli affetti come uno dei nodi centrali della nostra esistenza contemporanea.

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