Quanti soldi ho? Dove finiscono i miei soldi

Tratto da Luigi D’Elia http://www.psychiatryonline.it/node/5013

Mi capita sempre più spesso di osservare, sia in ambito clinico che non, un curioso fenomeno, probabilmente legato a questi strani tempi. Mi riferisco alla mancanza di consapevolezza delle risorse economiche a disposizione da parte di giovani adulti, anche piuttosto “maturi”. Giovani che in buona sostanza non sanno quanti soldi hanno in banca e in tasca e quanti ne possono spendere ogni mese o settimana. Una mancanza quasi totale della percezione dei flussi economici e della loro previsionalità che rende di fatto incalcolabile quanto soldi si possiedono, quando finiscono e quanto durano.

Il primo caso del genere mi capitò qualche anno fa, direi una situazione emblematica nella sua comicità: Regina (nome fittizio), una giovanissima artista colpita da inaspettata fortuna economica ma mancante, almeno inizialmente, di una corretta percezione delle entità numeriche e quantitative (mancanza colmata poi nel corso della terapia). Mancanza di misura che emerse una volta che, trasferitasi in altra città e dovendo provvedere all’arredamento della casa, pensò bene di ordinare sul web alcuni mobili che le apparivano “convenientissimi”, salvo poi accorgersi trattarsi di modellini in scala 1:10 di mobili antichi, praticamente dei giocattoli. La persona in questione univa quindi difficoltà a misurare i flussi di denaro (sprecò in breve tempo un patrimonio) con una difficoltà a calcolare grandezze, distanze e misure numeriche in genere.

Ma se mentre questo caso appariva in qualche modo unico e particolare, ben presto mi sono potuto accertare, col passare degli anni, che esso in realtà altro non era che un caso-precursore. Oggi sono moltissimi i giovani che arrivano in terapia per le più svariate questioni che mostrano inaspettatamente come tratto comune una spiccata insipienza amministrativa. E non parlo solo di figli di papà che vivono di laute paghette, ma anche di giovani single autonomi o persino giovani genitori e coniugi che già da tempo vivono per conto proprio.

Penso ad esempio a Giorgia (nome fittizio), 24 anni, che guadagna 1.300 € al mese, vive a casa col padre, ma a metà mese chiede i soldi al padre. Che mi consti, non si droga non soffre di ludopatia, ma in compenso frequenta spesso l’estetista.

Oppure penso a Pina (nome fittizio), 32 anni, che ha un lavoro a tempo indeterminato, una casa propria senza mutuo, un cagnolino, la mamma che le fa le pulizie e le porta da mangiare, ma non riesce ad arrivare a fine mese e non si riesce a capire perché.

O ancora penso a Federica (nome fittizio), 28 anni, che dopo che il papà le ha comprato e arredato casa e ha lavorato come impiegata per un anno in una azienda, non ha capito quanti soldi ha sul conto corrente e non ha alcuna idea di quanto le durerà il TFR come riserva intanto che cerca un nuovo lavoro.

Mi sono dunque domandato il perché di questa forma di disattenzione selettiva proprio sui soldi. E qualche pensiero mi è cominciato disordinatamente a girare in testa.

La ricchezza patrimoniale diffusa e l’ascensore sociale funzionante

Prima di tutto occorre contestualizzare la nostra realtà socio-economica locale dove in sostanza stiamo sopravvivendo grazie alle ricchezze patrimoniali traversali accumulate nei decenni d’oro dal boom economico degli anni’60 in poi, dove l’Italia, da terza potenza economica qual era, riusciva a risparmiare e a creare riserve ancora attive oggi, seppure la crisi stia erodendole inesorabilmente. L’ascensore sociale funzionava per tutti o quasi e non c’è italiano che non annoveri tra i propri avi recenti contadini, artigiani e operai anche solo 1-2 generazioni fa, o al massimo, 3-4 generazioni fa. L’ascensore funzionava e quasi tutti riuscivano a mettere il proprio gruzzolo da parte. Pagare gli studi fuorisede e laureare i figli, comprare casa anche ai figli in Italia era la regola e non l’eccezione.

Il “welfare dei nonni”

L’erosione dei patrimoni dei decenni precedenti è solo agli inizi. Coloro che all’improvviso si ritrovano senza le spalle coperte sembrano in tanti, ma sono ancora netta minoranza. Intanto il walfare è evoporato velocemente portando via tutti i diritti sociali e lasciando al proprio posto il “welfare dei nonni”, l’assistenza oblativa delle famiglie che sostiene figli e giovani famiglie disoccupati, sottoccupati o sottopagati. L’ascensore sociale s’è bloccato da anni a metà piano e gli attuali genitori non riusciranno a lasciare niente ai propri figli, se non i debiti. Figli che molto probabilmente non riusciranno ad avanzare socio-economicamente e ancora più probabilmente proseguiranno nell’erodere fino all’osso il patrimonio dei nonni e dei padri.

Intanto il supermarket diventa mondo interno

Su questo scenario di euforia e senso di potenza che giunge dal recente passato, le nuove generazioni, coloro che sono nati negli anni 70-80 e che potremmo definire nativi iper-consumisti, sono coloro che hanno compiutamente introiettato i codici sociali del supermarket e ne hanno costruito tessuto connettivo identitario per poter stare al mondo. Questo comporta, tra le tante possibili conseguenze, che l’eccessiva attenzione ai cordoni della borsa sia nel frattempo improvvisamente diventata fuori moda e farsi i conti in tasca motivo di cattivo umore. Una questione etica ed estetica sul confine dell’indecenza in una società che è fondata sull’acquisto impulsivo.

Bolle speculative ed esame di realtà compromesso

Accade perciò che mentre la disattenzione per la gestione dei soldi genera forme di economia e di economia psichica che somigliano sempre più a bolle speculative (la bolla speculativa diventa icona simbolica del presente), la ricchezza reale di molti di noi va nel frattempo diminuendo. E questo diventa immediatamente una dimensione altamente disadattativa in quanto abbassa drasticamente la capacità di realizzare un esame di realtà e di comportarsi conseguentemente. In un mondo sempre più povero vivono persone sempre meno attente ai propri soldi. Buona fortuna a tutti noi.
 
Intanto, per non sapere né leggere né scrivere, io propongo a tutti di munirsi di un semplice foglio excel o di una semplice tabella nidificata e di inserire tutte le voci di spesa e di entrata personali o di famiglia e di monitorarle per soli 3-4 mesi. Questo consente di avere una prima idea di come ci comportiamo con i nostri soldi.

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